Lagopesole

 Sullo spartiacque tra i fiumi Ofanto e Bradano è situata la frazione di Lagopesole, nel comune di Avigliano (PZ), su di un colle a circa 829 metri sul livello del mare. Dalla sommità del colle domina il castello detto “di Lagopesole”. Questo toponimo sembra derivi dal latino “lacus pensilis” che, secondo alcuni studiosi, ricorderebbe la presenza di un grande lago preistorico, risalente al Quaternario, che occupava tutta la sottostante valle di Vitalba.

Sulle origini del Castello storia e leggenda si sovrappongono in modo che è difficile individuare dove inizia una e finisce l’altra.
Oltre all’ipotesi della stazione romana posta sulla Via Erculea e risalente al VI secolo a.C., una tradizione popolare narra che, attorno all’anno 734 d.C. fu edificato un primo fortizio da un condottiero bizantino di nome Antonio Civrestes, che fu inviato da Leonida, re di Sparta, alla guida di un esercito di mussulmani.
Il tiranno e i suoi discendenti rimasero a lungo in possesso del forte fin quando fu espugnato dai Longobardi i quali lo diedero alle fiamme, distruggendolo fino alle fondamenta, perchè era stato posseduto dagli infedeli.

Molti storici rifiutano questa ipotesi sulla fondazione del Castello ma, da numerosi ritrovamenti si deduce che molto probabilmente è realmente esistito un impianto saraceno precedente al castello attuale di cui si ritrova traccia in epoca normanna.

Al decadere della dinastia dei Normanni successero gli Svevi con Federico II il quale ne fece iniziare l’ampliamento ed il restauro nell’anno 1242. Tali lavori non furono mai portati a termine perchè, nel 1250, con la morte dell’Imperatore decadde la dinastia Sveva.

A Federico II successe Corrado, il quale morì lasciando in Germania l’unico figlio bambinetto. Il regno pervenne a Manfredi fino al 26 febbraio 1266 quando Manfredi fu ucciso in battaglia.

Il 12 aprile 1266 la vittoriosa corte Angioina, si recò a Lagopesole ed iniziò un periodo storico che, per tutto il Regno, fu estremamente triste e noioso.

Nel 1416 passò in possesso, assieme a Melfi e ad Atella, al feudatario Ser Giovanni Caracciolo ed il Castello di Lagopesole fu donato al Principe d’Orange. Alla morte di questi, con Diploma del 20 dicembre 1531, fu donato ad Andrea Doria, in riconoscimento dei servigi prestati, i cui discendenti – con il ramo Doria Pamphili – ne rimasero in possesso fino all’anno 1969 quando, insieme al Castello di Melfi, a loro volta, lo donarono allo Stato Italiano.

Delle leggende che ravvivano la storia di Lagopesole ce ne sono almeno due abbastanza note che vale la pena di raccontare.

Federico I Barbarossa, in vecchiaia, si ritirò al Castello di Lagopesole e, siccome era afflitto da una deformità congenita che lo costringeva a nascondere delle orecchie allungate e puntute sotto una fluente capigliatura, per impedire la divulgazione della notizia della sua deformità, l’imperatore aveva ordinato che i barbieri da cui si faceva radere, al momemto in cui lasciavano la dimora imperiale, venissero portati, attraverso un corridoio, in una torre dove era un trabocchetto, nel quale erano spinti e rimanevono sepolti.

Da questa triste sorte un barbiere giovane riuscì a sfuggire evitando la mortale torre. Ebbe salva la vita a condizione che non avesse raccontato a nessuno del segreto dell’Imperatore. Il nostro barbiere era veramente intenzionato a mantenere il segreto, ma la notizia era grossa, allora, non volendo mancare alla promessa fatta, anche perchè temeva giustamente per la propria vita, andò nel luogo più nascosto della campagna di Lagopesole, una volta arrivato, scavò un buco profondo nel terreno e, parlandoci dentro, raccontò il segreto dell’Imperatore.

Dopo qualche tempo, sul posto, crebbero delle canne che, agitate dal vento, con il loro fruscìo, che diventava sempre più forte ed insistente, ripetevano una canzone “Federico Barbarossa téne l’orecchie all’asinà a a a a …”, di qui il ritornello è giunto fino ai tempi nostri ed è stato ripreso anche in canti popolari della zona.

L’altra leggenda, certamente legata ai fatti storici che avvennero dopo la sconfitta e la morte di Manfredi, dice che in alcune particolari notti, quando la luna è alta nel cielo e tutta la campagna tace, dal Castello si vede apparire e scomparire una luce portata da una fanciulla vestita di bianco e si sentono lamenti, invocazioni ed urla di disperazione. La bella Elena degli Angeli, moglie disperata di Manfredi, torna al Castello dove visse felice a cercare il caro marito e gli amati figli perduti per sempre. Ed il biondo Manfredi, cavalcando il suo magnifico stallone bianco, con un bellissimo vestito dal lungo manto verde nella profondità della notte può essere incontrato nelle campagne attorno al Castello, che vaga all’eterna ricerca della sua famiglia distrutta dall’Angioino.