Consiglio Comunale del 27 ottobre 2007

 La seduta ha inizio alle ore 11.00.

PRESIDENTE

         Si procede all’appello nominale. I presenti sono 22; la seduta è valida; possiamo dare inizio ai lavori di questa mattina.

         Signor Sindaco, colleghi Consiglieri, signori della Giunta, prima di dare lettura del mio intervento, mi sia consentito di salutare con molto affetto il presidente Emilio Colombo, che è intervenuto ai lavori del nostro Consiglio Comunale, sua eccellenza il Prefetto, sempre sensibile ed attento a tutte le manifestazioni che si svolgono nella nostra città, il vice presidente del Consiglio Provinciale di Potenza, l’amico Michele De Stefano, tutte le Autorità qui convenute in questa occasione particolarissima e solenne, con la quale il Consiglio Comunale di Potenza si accinge a conferire la cittadinanza onoraria al professor Leone Piccioni.

         L’atto solenne con il quale il Consiglio Comunale di Potenza si appresta ad ascrivere tra i suoi concittadini onorari il professor Leone Piccioni è, in primo luogo, il riconoscimento all’uomo di cultura che occupa un posto di rilievo nella storia culturale e civile dell’Italia democratica. Parlare, infatti, di Leone Piccioni significa ripercorrere un lungo e travagliato periodo della vita politica e sociale italiana, dagli anni Cinquanta in poi, caratterizzato da battaglie politiche ed ideologiche aspre, ma anche un periodo della storia civile e culturale molto fecondo per i vivi fermenti intellettuali che hanno animato la società italiana. In tale contesto, Leone Piccioni si è sempre posto con rigorosa coerenza, nella fedeltà alla tradizione della nostra civiltà, a difesa dell’indipendenza e delle ragioni dell’arte, la quale è ricerca di verità, in cui si esercita propriamente la libertà dell’uomo.

         Mi piace ricordare, in questa felice occasione, quanto il professor Leone Piccioni scriveva circa un trentennio fa: “Senza libertà, l’uomo non può esprimere niente di sé, né a livello individuale né a livello di società. Le società che non godono di libertà non sono in grado di fornire indicazioni che alimentino le umane speranze“. Questo inno alla libertà, in uno alla sua visione sulla funzione dell’uomo di lettere nella moderna società, a me pare essere uno dei tratti caratteristici della figura e dell’opera di Leone Piccioni.

         Leone Piccioni, personalità eminente della cultura italiana, si è guadagnato un preciso e ben definito spazio con importanti studi sulla letteratura moderna e contemporanea. Basti qui citare gli studi su Foscolo, Leopardi, Verga, sulla narrativa italiana tra le due guerre e i rilevanti apporti nel campo filologico. Basti ricordare, ancora, l’edizione di tutta l’opera poetica di Ungaretti pubblicata nei Meridiani, edizione considerata esemplare dalla moderna filologia, non solo italiana, e la straordinaria galleria di ritratti critico-biografici di scrittori e artisti italiani del primo Novecento, che quello che tra qualche istante sarà il nostro concittadino onorario, con altruismo e generosità, ha recentemente affidato alle edizioni del Circolo culturale Silvio Spaventa Filippi, con l’intenzione di giovare all’ulteriore affermazione in campo nazionale del benemerito sodalizio potentino.

         Professor Piccioni, a noi piace immaginare la sua trentacinquennale frequentazione di Potenza, senza mai una defezione agli appuntamenti annuali del Premio Basilicata, come una chiara testimonianza di rispetto e – perché no? – di affetto per questa città verso la quale, in vario modo, sin dalle prime edizioni del premio, forse anche nel ricordo del suo grande maestro (il lucano De Robertis), Ella ha mostrato attenzione ed interesse, la stessa attenzione ed interesse che è stato possibile riscontrare nella visibilità televisiva goduta dalla nostra città e dal Premio Basilicata, già dalla sua prima edizione, attribuibile sulla base di evidente probante documentazione a lei, professor Leone Piccioni, tra i massimi e più prestigiosi dirigenti della RAI.

         Il particolare rapporto instauratosi tra Leone Piccioni e la città di Potenza si è espresso nel tempo anche con le tante iniziative del circolo culturale potentino, dietro le quali tutti sanno esserci stato l’illustre studioso.

         Ricordiamo i tanti incontri e conferenze organizzati a Potenza, dei quali il professor Piccioni è stato il principale animatore, ed i tanti scrittori a cui ha fatto conoscere la nostra città ed i nostri studiosi. Ricordiamo in particolare l’affettuosa celebrazione di De Robertis e la memorabile lezione sul grande poeta lucano Sinisgalli, tenuta a conclusione del concorso organizzato per le Scuole superiori.

         Professor Leone Piccioni, il conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Consiglio Comunale della città di Potenza, che mi onoro di presiedere, in rappresentanza dell’intera cittadinanza potentina, esprime l’alto apprezzamento per l’instancabile attività scientifica dello studioso, per la sua passione civile, per il prestigioso e rigoroso impegno profuso per la ricerca scientifica.

         Grazie per aver contribuito a far conoscere a livello nazionale ed europeo il volto della nostra regione e della nostra città; la città di Potenza Le è grata per questo.

         Diamo ora la parola a Mario Trufelli.

TRUFELLI

         “Ho vissuto già in Basilicata, se i miei ricordi sono tanto vivi. La strada svolta e sbuca a questo Basento sonnolento, è la strada di Tito per Potenza, la scarpata pietrosa e la linea in cui penano lenti e pesanti i treni Roma-Napoli-Potenza“. Beh, così raccontava, in versi, nel 1903, il suo primo incontro con la Basilicata Valery Larbaud, famoso poeta viaggiatore francese che proprio a Potenza, malgrado le difficoltà del viaggio, trovò subito ospitalità, collaborazione, simpatia.

         Idealmente, settanta anni dopo quel treno, su quel treno che attraversa ancora e sempre la lunga linea del Basento, arrivò nella nostra città anche Leone Piccioni, che a sua volta fu salutato non soltanto con simpatia, ma anche con rispetto, rispetto al suo nome, alla sua storia di intellettuale. Una presenza prestigiosa, la sua, di alto profilo, che ha vissuto la letteratura attraverso tanti nomi, soprattutto poeti, come pane quotidiano, come nutrimento necessario dell’anima.

         A Potenza era nata un’iniziativa unica, per quegli anni, nella nostra regione: era nato il Premio Basilicata. Una vera e propria scommessa nel vasto panorama dei premi italiani, che anche allora animavano la scena nazionale. Per il “Basilicata” che ebbe come animatore e organizzatore il Circolo Silvio Spaventa Filippi con il suo Presidente, il compianto Andrea Varango, fu formata una giuria di prestigio presieduta dal mitico Carlo Bo, uno dei maestri – veri maestri – della critica letteraria, che aveva a fianco nomi altrettanto prestigiosi. Ricordiamo Carlo Betocchi, Mario Pomilio, Geno Pampaloni, Giorgio Caproni, Michele Prisco e Leone Piccioni, appunto, che dopo Carlo Bo, che lo aveva felicemente dirottato dalla filosofia verso una critica più umanizzata, ereditò per un tacito diritto di successione la presidenza della giuria del premio di narrativa, letteratura e poesia spirituale e, per trentacinque anni, gli appuntamenti con il Premio Basilicata sono rimasti immutati nei rituali, nello stile, a parte, per i primi tempi, qualche difficoltà di natura meteorologica, e sono rimasti immutati nella storia di questa città.

         Quando vi giunse per la prima volta, in fondo la Basilicata l’aveva già conosciuta attraverso i rapporti solidali, veri, intensi di amicizia di Emilio Colombo, il leader politico lucano, con il padre Attilio Piccioni, già segretario nazionale della Democrazia Cristiana dal 1948 al 1953. Allora erano in tanti gli uomini di cultura che si dedicavano con autentica passione al servizio della politica.

         La grande stima verso il padre, dunque (ci piace ricordarlo e dirlo), venne riversata sul figlio, abile ed incisivo ritrattista negli studi sulla letteratura moderna e contemporanea, e così Leone Piccioni arrivò a Potenza anche per poter continuare una lunga consuetudine familiare. Nacque una fervida frequentazione di Leone e con Leone, come abbiamo sentito, soprattutto nel mondo della scuola. Memorabile, appunto, la lezione sulla poesia di Leonardo Sinisgalli che il Circolo Silvio Spaventa Filippi ha raccolto in un volume, agli studenti delle Scuole Medie Superiori in un affollatissimo teatro di Potenza. Piccioni aveva frequentato il poeta ingegnere di Montemurro per anni e si disse sedotto dalla poesia di Leonardo, e si compiaceva di ricordarci a conferma, dalla poesia “Alla madre”, i versi: “Eri dritta e felice, sulla porta che il vento apriva alla campagna. Intrisa di luce, stavi ferma nel giorno, al tempo delle vespe d’oro“. E ce lo dicevi a memoria.

         Dunque i poeti, i compagni di viaggio del professor Piccioni. La presenza stessa di questo libero docente di letteratura italiana moderna e contemporanea alla Sapienza di Roma e alla IULM di Milano si è trasformata, negli anni, in una vera e propria mediazione (anche questo lo ha detto il Presidente del Consiglio), per aver fatto conoscere questa città, questa regione, a grandi personalità del mondo della cultura. L’ingresso di Mario Luzi per alcuni anni nella giuria del Premio Basilicata si deve a Leone Piccioni, e Luzi, che si interessò entusiasta all’arte e alla storia millenaria di questa città, di questa terra, scrisse anche una poesia, la dedicò a Matera, guarda caso la città dove era nato Giuseppe De Robertis, il professore di letteratura italiana all’Università di Firenze, dal quale Leone, che fu uno degli allievi prediletti, apprese l’arte di saper leggere la poesia per scoprirne il mistero della creazione.

         Dunque la poesia, la dolce dannazione del discepolo autentico, vero discepolo, di Giuseppe Ungaretti, del quale è rimasto il maggiore critico, il più vero, autentico testimone; ha conosciuto l’uomo, ne ha ascoltato parole ed opinioni, ne ha vissuto gli stati d’animo. Ed Ungaretti (che amava chiamarlo “Caro il mio Leone”), Saba, Cardarelli, Enrico Pea, Carlo Emilio Gadda, autori di particolare riferimento nei suoi studi e nelle sue scelte umane, Leone li ha fatti rivivere nel suo libro “Memoria e fedeltà”, un’opera unica, esemplare, e ha affidato per la pubblicazione – lui, autore delle più autorevoli case editrici italiane -, al Circolo Silvio Spaventa Filippi.

         L’opera, uscita a cura di Santino Bonsera, fervido Presidente del circolo e del Premio Basilicata, nelle intenzioni del suo autore, è voluta essere un grande gesto di amicizia e di attaccamento a questa città, sentimenti che si sono consolidati in decenni di frequentazioni, e da oggi Leone Piccioni è uno di noi.

PRESIDENTE

         Prende ora la parola la professoressa Silvia Zoppi Garampi, che presenterà il volume edito per questa particolarissima circostanza. Prego.

SILVIA ZOPPI GARAMPI

         Per me è un privilegio trovarmi qui a Potenza nel giorno in cui è conferita al professor Leone Piccioni, che mi onoro di considerare mio maestro, la cittadinanza onoraria. Per questa felice opportunità che mi viene offerta, vorrei ringraziare il Sindaco, le Autorità, il professor Santino Bonsera, presidente del Premio Letterario Basilicata, con un saluto a tutti i presenti.

         Un grazie particolare, però, lo devo al festeggiato che, conoscendo bene i miei interessi per lo studio delle opere di Gadda, un paio di anni fa mi mise a disposizione, perché le pubblicassi, le lettere che lo scrittore lombardo gli aveva inviato.

         Quando Piccioni mi annunciò la cerimonia che Potenza gli stava preparando, abbiamo insieme creduto che l’edizione di una parte del carteggio per tale occasione potesse offrire significativa testimonianza del suo rapporto con lo scrittore oramai riconosciuto come il maggiore del nostro Novecento. Nella scelta delle otto lettere che oggi vedono la luce tra le diciannove, comprese tre cartoline e due biglietti, che Gadda invia a Piccioni dal 1950 al 1968, ho privilegiato quelle in cui si scorgono allusioni agli interventi critici di Piccioni nei confronti dello scrittore. Si riesce, così, a delineare un itinerario costante ed una fedeltà che si accresce negli anni attraverso l’affetto reciproco.

         Giulio Cattaneo, in un intervento dedicato qualche anno fa a Leone Piccioni, parlò dell’amico come uomo di impulsi generosi e portato alle amicizie vere. Vorrei insistere sulla generosità e sulla fedeltà alle amicizie come sentimenti che hanno contraddistinto non solo il modo di essere di uomo, ma il modo di essere di Piccioni come critico militante. Mi sia concesso sottolineare di nuovo queste doti, riecheggiate anche da una recente raccolta di Piccioni, già ricordata prima, intitolata “Memoria e fedeltà”, perché possano quelle qualità e quello stile di vita tornare ad illuminare oggi le menti delle giovani generazioni.

         La prima lettera di Gadda, del maggio 1950, è un ringraziamento per l’articolo apparso congiuntamente sul “Popolo” e sul “Mattino dell’Italia centrale”, per una conversazione radio in cui Piccioni commentava i libri di Gadda, per un saggio, sempre di Piccioni, sulla rivista di divulgazione scientifica “Ulisse”, contributi che avevano concentrato (sottolinea Gadda) l’attenzione dei lettori sulle sue prime opere, ma Gadda è grato anche per l’interessamento assieme gentile e profondo, per il tono simpatico e pieno di partecipazione che traspare nella lettura di Piccioni.

         Infatti, nell’aprile del ’50, come responsabile della terza pagina del “Popolo”, Piccioni aveva scritto il suo primo articolo gaddiano intitolato: “L’arte di Carlo Emilio Gadda”. Il critico, appena venticinquenne, in apertura sottolineava l’assoluto interesse rappresentato nell’attuale panorama narrativo dagli scritti di Gadda. Si trattava di una sorta di battesimo letterario, con la presentazione di un autore ancora sconosciuto ad un pubblico meno esclusivo, però varrà la pena ricordare che Piccioni poteva fare affidamento su un grande maestro, Giuseppe De Robertis, che – con due saggi scritti nel ’31 e nel ’35 in occasione della pubblicazione di due libri di Gadda – era considerato il primo critico ad essersi accorto del nuovo scrittore.

         Mi pare che la piena fiducia e il rispetto da parte di Piccioni negli insegnamenti e nei consigli, prima di De Robertis come poi, successivamente, di Ungaretti, restino un punto fermo nel suo percorso di critico letterario. Una seconda lettera di Gadda del luglio successivo fa indovinare facilmente la proposta rivoltagli da Piccioni di collaborare con degli articoli ai quotidiani del partito della Democrazia Cristiana. Colpisce il guardare alto e lontano di un democratico cristiano, durante gli anni del centrismo, nell’avvicinarsi ad un laico. La sicurezza di giudizio di Piccioni, infatti, rende disponibili tre quotidiani della catena DC (due ufficiali, “Il Popolo” di Roma e “Il Popolo” di Milano; uno ufficioso, “Il Mattino dell’Italia centrale”) ad accogliere articoli di Gadda.

         Gadda è lieto di accettare la proposta di collaborazione: sono note le difficoltà economiche dello scrittore durante gli anni fiorentini, dopo aver relegato gli impegni ingegneristici alla sfera del possibile e dopo la delusione per il rifiuto dei suoi articoli da parte del “Corriere della Sera”, ma dalle righe della lettera a Piccioni, a fianco della gratitudine e del bisogno di sostegno, emerge la signorile fierezza di Gadda: “Non deve temere – scrive – che io possa rappresentare la pecora nera della sua terza pagina. Conosco ed apprezzo il limite entro cui deve agire la collaborazione; è vivo in me il senso di responsabilità a sufficienza per non intralciare il lavoro degli impaginatori, cioè del direttore e della redazione. Un minimo di fisionomia personale, d’altronde, deve essere pur concesso all’articolista, senza di che non varrebbe la pena di avere degli articolisti“.

         Queste due prime lettere a Piccioni sono di poco precedenti al prossimo impegno romano di Gadda e testimoniano un’attenzione del giovane critico del tutto indipendente ed autonomo rispetto alla consuetudine che, di lì a breve, caratterizzerà il suo rapporto con lo scrittore.

         Infatti, proprio nell’estate del ’50, Giovambattista Angioletti, coetaneo e concittadino di Gadda, che da tempo si era mostrato sensibile alle sue difficoltà, tanto da procurargli collaborazioni a vari quotidiani e periodici, gli propose un impiego alla RAI. Due mesi dopo, nell’ottobre, Gadda si trasferisce a Roma e inizia a lavorare in Via Asiago 10, al giornale radio, nel quale Angioletti era redattore capo della redazione letteraria e Piccioni redattore. In una lettera del 27 ottobre ’50 ad Angioletti, che si trovava a Losanna, Gadda lamenta la mancanza dell’amico lontano e tuttavia, in una fase di apprendistato, esprime il conforto offertogli da Piccioni e Cattaneo. “Qui nulla di nuovo – scrive –, nulla di speciale. Io sento particolarmente la tua mancanza, dato che sono un novellino dell’ufficio, ma con l’aiuto di Piccioni e Cattaneo spero di tirarla“.

         Il rapporto, negli anni di lavoro insieme, era stretto, tante le amicizie comuni; lo dimostrano, per esempio, gli episodi (aneddoti, direi – Piccioni li chiama “detti e fatti memorabili” -) di Gadda che sono ricordati in alcuni saggi dedicati al gran lombardo.

         Nel 1953, esce il volume di Piccioni intitolato “Sui contemporanei”, un capitolo è dedicato a Gadda. Sono appena usciti due volumi dello scrittore, “Il primo libro delle Favole” e “Le novelle dal ducato in fiamme”, che vengono presentati e descritti. Piccioni, forte della frequentazione quotidiana dell’autore, vuole testimoniare l’autenticità della sua scrittura, non barocca, non manierista, ma abbarbicata ad una realtà che è la realtà di Gadda, fatta di continui soprassalti, di accavallarsi di pensieri, di sensazioni, di analogie sconcertanti, ma umanissime. E’ ora, diversamente dal primo articolo del ’50, l’ammirazione verso uno scrittore che ritiene tra i più promettenti per straordinaria capacità di invenzione e formidabile tecnica, accresciuta “dal rispetto per un uomo – scrive Leone – particolarissimo, originale, acuto e vario di atteggiamenti ed umori, un personaggio“.

         Nell’ottobre del ’55 appare sul “Popolo” un nuovo articolo di Piccioni, in occasione della pubblicazione del “Giornale di guerra e di prigionia” di Gadda. Se ne trova traccia nella lettera del 31 dicembre dello stesso anno, si tratta dell’articolo, un vero e proprio saggio, più impegnato criticamente tra quelli dedicati a Gadda.

         Piccioni sottolinea come i diari fossero stati sottratti all’autore per l’edizione, senza che egli ne potesse ritoccare qualcosa, tanto da apparire impopolari per l’incondizionato nazionalismo che mostrano. “Gadda – scrive Piccioni – si ripresenta come un patito dell’amor di Patria, bruciato, esaltato dalla guerra e dalla sua giustizia. Non ha le furbizie o i cinismi oggi in voga, non ha ritoccato, non ha aggiunto“.

         Nel ’57, quando Gadda si impone all’attenzione del mondo letterario con la pubblicazione del “Pasticciaccio”, scrive tre lettere a Piccioni. Nell’ultima, del 31 agosto, si legge: “Carissimo Leone, non so come ringraziarti di quanto hai scritto del mio lavoro e di me sul «Mattino del Popolo» di Firenze e della trasmissione dell’Approdo, con le interviste di Ungaretti, Cecchi, Bo, Pampaloni e Montale. Grazie veramente col cuore della tua così attiva e generosa bontà, che supera veramente i miei discutibile titoli di merito“.

         Nel saggio scritto in occasione del Premio Formentor a Corfù, assegnato nel ’63 alla “Cognizione del dolore”, appena uscito in volume, si ha la percezione di quanto fosse stato impegnato e sentito il percorso del critico militante, per approfondire e sostenere uno scrittore in cui aveva creduto sin dal principio, per valutarne l’opera intera attraverso la conoscenza di tutta la produzione, come gli aveva insegnato De Robertis sin dai tempi dell’università.

         “Corfù”, il titolo di questo contributo contenuto nel volume di Piccioni “Lavagna bianca” del 1963, è anche un saggio controcorrente, con una non troppo velata polemica verso i critici facili dell’ultima ora che ostentano un caso Gadda quando già da trent’anni c’era chi di Gadda parlava e scriveva. Agli indiscussi capolavori come il “Pasticciaccio” e la “Cognizione” vanno affiancate le opere giovanili di Gadda, ancora sconosciute a tanta critica, che nella loro imprescindibile autonomia ne rappresentano l’origine. Scrive Piccioni: “Se il critico diverrà capace di intendere un testo solo quando il tempo, la cronaca stessa ne consenta la divulgazione, a cosa si ridurrà la sua opera, a cosa si riduce?“.

         Nel 2007, ora, ricorrono cinquanta anni dalla prima edizione di “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”. A Roma, giorni fa, si è ricordato quell’anniversario con un convegno dedicato a Gadda. A parte i naturali approfondimenti sul capolavoro, mi è parso che gli studi e la filologia gaddiani siano principalmente indirizzati al recupero e alla valorizzazione delle opere più antiche dello scrittore. Anche in questo senso sono sicura che si raccomandi oggi una rilettura degli interventi di Piccioni, così acuti nel percepire il farsi, il crescere e l’esplodere della narrativa di Carlo Emilio Gadda.

PRESIDENTE

         Prende ora la parola il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero.

SINDACO

         Un affettuoso e deferente saluto a tutti, ai colleghi Consiglieri Comunali, al Presidente del Consiglio che, unitamente alla struttura che con lui collabora (dottor Pace in testa), ha organizzato in maniera puntuale e rigorosa questo Consiglio Comunale. Un affettuoso saluto alle Autorità presenti, al nostro caro ed amato presidente Colombo, a sua eccellenza il Prefetto, al Vicepresidente del Consiglio Provinciale, al maggiore Maniscalco, della Finanza, al Presidente del Premio Basilicata, ai tanti rappresentanti autorevoli della giuria del Premio Basilicata e, ovviamente, alle tante persone e ai tanti concittadini qui presenti.

         E’ una giornata indubbiamente solenne, ma è una giornata speciale – devo dire – anche per il Sindaco. Si è molto parlato del professor Piccioni. A questo punto, Professore, il Sindaco dovrebbe sollecitare il voto favorevole del Consiglio Comunale. In genere, sugli atti deliberativi che portiamo in Consiglio, non è semplice “strapparlo”, con un Consiglio Comunale vivace, autorevole, prestigioso; non è facile strapparlo, spesso, alla Maggioranza, figuriamoci all’unanimità. Ebbene, questo oggi, invece, succederà, e succede perché la città di Potenza è orgogliosa di conferire (e lo facciamo con gioia) la cittadinanza onoraria al professor Leone Piccioni.

         Silva Zoppi Garampi, Mario Trufelli, lo stesso Presidente del Consiglio Comunale sono entrati nel merito della storia personale, delle capacità professionali, del grande spessore culturale del professor Piccioni.

         Io vorrei soffermarmi su qualche altra piccola cosa, su qualche aspetto che lega il professor Piccioni in maniera un po’ più intima alla nostra città. Indubbiamente, il professor Piccioni è legato al Premio Basilicata e questo, di per sé, è un elemento che lo lega alla città. Questo è un premio che tanto lustro dà alla nostra città, tanto ha consentito alla nostra città di crescere da un punto di vista culturale, tanto ha contribuito a quei percorsi virtuosi che rendono una comunità più innovativa, che consentono ad una comunità di crescere, che consentono ad una comunità di essere anche più competitiva e di guardare meglio al proprio futuro; ha consentito, in tante occasioni, di recuperare la nostra identità, la nostra storia. Già questo è un motivo forte, professor Leone Piccioni, per conferirLe la cittadinanza onoraria, per sentirLa uno di noi. Dal 1972 è una presenza fissa – è stato ricordato -, una presenza che ha contribuito ad arricchire questo premio e a favorire, nella sua giuria, la presenza di personaggi di grandissimo spessore.

         Ma il professor Piccioni è stato di più per noi. Sicuramente, grazie al premio e all’attività del circolo, al dinamismo del professor Bonsera, ha contribuito a momenti importanti della nostra vita culturale e sociale. E’ stato anche questo ricordato: il premio della Provincia di Potenza a Leonardo Sinisgalli. I sabati culturali della città di Potenza degli anni Novanta sono stati momenti importanti per la nostra comunità. Ma potremmo parlare anche della sua attività letteraria legata alla nostra terra.

          Il professor Bonsera, qualche giorno fa, si è premurato di far arrivare a tutti noi il volume dedicato a Leonardo Sinisgalli per sottolineare quanto il professor Piccioni ha scritto della nostra terra e dei nostri personaggi, ma quel volume, personalmente, lo avevo già letto ed ampiamente sottolineato, e per me era stata l’occasione per comprendere in che modo il professor Piccioni ci avvicina agli artisti, come ce li fa comprendere in maniera sublime.

         E’ una delle grandi capacità, quell’arte della maieutica, di saper tirar fuori dai personaggi la loro anima per trasferirla poi ai lettori. Con Sinisgalli, che personalmente amo molto, così è stato. Questo invito ad andare a leggere le sue poesie: “Leggiamole” dice il Professore. Mi soffermo su questo perché ci sono dei passaggi bellissimi che riguardano anche la nostra terra.

         Quella bellissima poesia dedicata alle muse la commenta così, facendoci entrare nel cuore di questo personaggio, che è un nostro personaggio, cui siamo legati tutti (Mario Trufelli ce lo ha ricordato): “Strane queste muse che vivono sulle querce e si nutrono di ghiande e di coccole. C’è contemporaneamente, in questa poesia, una specie di esaltazione, qualcosa che è nel mito e nel mito deve rimanere, e insieme una sorte di ironia, se volete anche crudele, che vuole stare a significare come, nel passare del tempo, nel passare degli anni, nel passare delle abitudini e delle tradizioni si spossa corrompere tutto, si possa essere corrotto anche quel mito“. E’ un commento straordinario, è una poesia accanto alla poesia.

         La poesia, perciò, va rinnovata, va riproposta sotto un angolo visuale differente. Più avanti ci fa leggere una poesia dedicata alla nostra terra “Lucania”, bellissima. Nel commentarla e nel commentarne anche un’altra (“Elegia romana), ci dice (sentite come ritorna quel tema che si era detto prima, quello che ho letto): “E’ l’ora di una nuova operazione poetica: c’è la matematica, c’è la scienza, ci sono le scoperte delle scienze e della matematica. Più che mai lo fanno persuaso di questo: è venuta l’ora dello scrollo, dell’abbattimento, è venuta l’ora in cui la poesia va rinnovata“. Sinisgalli in questo modo non solo si comprende, ma diventa affascinante, e diventa affascinante leggere Leone Piccioni. Legge la nostra terra, legge la nostra anima, legge i nostri grandi artisti.

         Quello del professor Leone Piccioni con la nostra città è un legame un po’ più sottile, più silenzioso, un legame che è forte, ma che si è strutturato nei tanti incontri, poco appariscenti, che il professor Leone Piccioni ha avuto con i tanti rappresentanti del Premio Basilicata e con i tanti cittadini che lavorano per il Premio Basilicata. Mi hanno raccontato (un po’ le sapevo) le passeggiate nei nostri vicoli, nei nostri Centri Storici, a parlare di cultura, del nostro territorio, le chiacchierate nelle nostre trattorie con i nostri concittadini, i nostri uomini di lettere, a parlare della nostra città, dei nostri problemi, di come farla crescere, del ruolo della cultura, del ruolo del Premio Basilicata. Ecco i motivi più intimi e più profondi che legano il professor Piccioni alla nostra città e che oggi ci consentono e consentono a me, Sindaco, di chiedere al Consiglio Comunale di votare con orgoglio questa delibera che sarà uno dei punti alti e solenni di questa consiliatura.

PRESIDENTE

         Poniamo ora in votazione il conferimento della cittadinanza onoraria della Città di Potenza al professor Leone Piccioni. Favorevoli? Contrari? Astenuti? La delibera è approvata all’unanimità.

         Auguri. Invitiamo il professor Piccioni a prendere la parola. Prego.

LEONE PICCIONI

         Con commozione e con soddisfazione ringrazio tutti quelli che hanno voluto dire parole di affetto e di stima per me, parole che dovrebbero giustificare la concessione della cittadinanza onoraria.

         Devo ringraziare prima di tutti il Sindaco, che è stato veramente generoso con me per le cose che ha detto. Non posso far attendere i miei ringraziamenti per la presenza di Emilio Colombo, che molto mi commuove, perché molto abbiamo lavorato insieme per questo Premio Basilicata. Poi, ringrazio il Presidente del Consiglio Comunale e Mario Trufelli (che fu certamente il primo amico che ebbi cominciando le mie presenze al Premio Basilicata). Egualmente ringrazio con affetto Silvia Zoppi per le sue parole e per la curatela magistrale che ha fatto del libro oggi presentato con le lettere di Gadda a me indirizzate.

         Ma state attenti, perché in queste situazioni gli elogi superano di gran lunga la verità. So di non meritarmi tanti elogi, ma li accetto stamani volentieri. Un grazie a tutti, un grazie anche a quanti sono intervenuti qui e naturalmente, prima di questo, alla Giunta e ai Consiglieri Comunali presenti.

         Ora, i ricordi. Voglio citare, a totale chiarimento del mio stato d’animo, una quartina di un grande poeta francese contemporaneo, Bonnefoy. Dice: “E la vita è passata, ma ti mantenne viva la tua illusione grazie a quelle mani sapienti che scelgono tra i ricordi, che ne ricuciono quasi invisibilmente le lacerazioni“. Con i ricordi si ricostruiscono anche parti che sembrerebbero smarrite. Quindi, dolci ricordi, amari ricordi: bisogna scegliere, come consiglia Bonnefoy.

         Al suo secondo anno di vita, fui invitato ad occuparmi del Premio Basilicata. Mi chiamò Emilio Colombo, e mi fece un grande onore; mi chiamarono il mio fraterno amico Carlo Bo e il caro Angelo Magliano, che ricordo con affetto. Il premio si svolgeva, allora, in una saletta del Motel ENI sulla Basentana, ci guidava, con tanta competenza e tanto affetto, l’avvocato Andrea Varango, di cui non dimenticherò mai la bontà e lo spirito religioso che lo guidava. Al Motel, a riceverci e ad avere cura di noi, un altro indimenticabile amico, Vitale Loscalzo, purtroppo anche lui mancato in giovane età.

         Dopo la morte di Andrea Varango, la guida del Premio venne presa dal professor Santino Bonsera, che nomino ora per la prima volta ma per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per il Premio, del sostegno che ha dato a me sempre e della parte importante per me che ha avuto nel pubblicare sia i saggi del mio libro “Memoria e fedeltà”, sia le lettere di Gadda curate da Silvia Zoppi Garampi.

         Santino Bonsera con la sua verve, con la sua incontentabilità, con i suoi affanni (che erano del resto anche quelli di Varango per l’andamento del Premio)… al professor Bonsera si deve attribuire anche, appunto ho detto, l’idea dei quaderni stampati dal Circolo culturale Spaventa Filippi, che egli presiede; anche a questi quaderni ho collaborato. Ed ecco il primo contatto con questa città, pur martoriata da un terribile terremoto, e con la vita. Mi resi conto dell’antichità di questa terra: le grandi opere d’arte che si potevano ritrovare anche in piccoli centri, il ricordo dei maestri, un terreno dove i ricercatori archeologici non avrebbero tempo libero per fare altro che voltare e rivoltare la terra.

         Ha osservato acutamente Alfonso Gatto, che fece un viaggio tanti anni fa mettendo in luce, purtroppo, la povertà di allora della regione – ma i tempi sono tanto mutati -: “In Lucania, tra archeologia e vita non c’è stacco. Il nostro doveva essere un viaggio archeologico, ma non sospettavamo, non potevamo sospettare la prossimità con cui quel fondo remoto a noi ignoto si faceva contemporaneo. Quali testimoni di ruderi eravamo i cronisti della sopravvivenza“.

         Per la pietà religiosa di questa terra, basti ricordare l’opera, la presenza e la guida per tanti uomini di valore che fu don De Luca, che ho incontrato anch’io più volte e con il quale si poteva parlare negli studi della RAI, dove veniva qualche volta a registrare delle conversazioni, di letteratura e della nuova letteratura. E’ stato un maestro, tutti lo sanno, tutti lo possono dire, e meglio di tutti credo lo possa dire Emilio Colombo.

         E poi l’incontro con tanta gente che ti accoglieva con amicizia e con affetto, con grande gentilezza, ma anche con un giusto riserbo. Si potevano stringere facilmente, a Potenza, amicizie che poi restavano nel tempo. Lasciatemi anche dire – non è cosa di poco conto – che abbiamo incontrato, in questa regione e sperimentato la bontà e la novità di certi cibi e di certe ricette, un ottimo vino, una sorta di contentezza che tutti ci prendeva in occasione di pranzi in campagna oppure anche in locali vicini.

         Ai tempi di Varango, la domenica mattina prima del Premio si andava in campagna a scoprire tante cose e a partecipare, appunto, a banchetti contadini. Con il professor Bonsera è stata presa l’abitudine, come sapete, di proclamare l’esito del concorso di saggistica cambiando ogni anno il centro in cui andavamo: dappertutto tanta partecipazione di gente, tanta luce di confidenza e per noi tante scoperte di cui vi siamo grati.

         Devo ricordare anche, tra i lucani che hanno contato nella mia vita ed anche in quella di mio padre, politicamente, Gabriele De Rosa.

         Ognuno sa come sia mutevole uno stato d’animo di perplessità relativamente al proprio lavoro: più si invecchia e più si intensifica. Per quanto riguarda la perplessità nel lavoro letterario verso i miei anni vecchi, cresce l’indagine sul proprio lavoro passato. A me è sembrato di aver fatto per le lettere troppo poco, riconoscendo con umiltà la diversità conclusiva tra le mie speranze e le mie conclusioni. Devo anche dire, però, che non ammiro, salvo grandi poeti, quanti rifiutano l’umiltà e si sentono contenti di se stessi come avessero al meglio risolto il loro lavoro.

         Se dovessi giustificarmi di questa mia perplessità, potrei dire che per il lavoro letterario non ho avuto molto tempo, ho sempre lavorato altrove, alla RAI, con orari pesanti: non avevo, insomma, avuto il tempo pieno per la letteratura che ad altri, invece, è felicemente toccato. Ungaretti mi ripeteva che non si possono servire due padroni, ma io dovetti scegliere, anche per ragioni economiche di mantenimento della famiglia (non mi sono, del resto, pentito di quella scelta).

         Quanto mi accade oggi, in quest’aula consiliare, mi regala anche qualche elemento positivo per il mio atteggiamento verso il lavoro. Rifletto che essere stato fedele per tanti anni ad un Premio che appena appena nasceva su un piano locale, per crescere via via fino a dimensioni nazionali, mi ha fatto acquistare una positiva confidenza presso i colleghi, gli autori e, credo, anche verso il pubblico.

         In più, proprio qui a Potenza, è stata recentemente editata (com’è stato ricordato) una mia raccolta di saggi – l’ultima, credo -, che ha trovato molti consensi anche fuori di qui, risalendo a tutta la mia critica letteraria, ed anche il volumetto delle lettere di Gadda, in qualche modo, mi persuade dell’amicizia e del sempre gentile atteggiamento che un grande come Carlo Emilio Gadda ebbe verso di me. Allora, ripenso soprattutto ad Ungaretti e a De Robertis (che, come sapete, è lucano, e che io commemorai a Matera in un’occasione lontana) di cui fui allievo, avendo presso loro un rapporto filiale.

         Per descrivere il mio precedente stato d’animo voglio citare un verso del grande poeta Cardarelli: “Io sono un cinico che crede in quel che fa“. Per quanto mi riguarda, io non sono un cinico, ma non mancano le perplessità, come ho detto, su quello che faccio.

         E infine, ecco la cittadinanza onoraria che mi riempie di gioia e di orgoglio, anche perché viene da una città e da una regione che amo, ed allora anche per me un po’ meno perplessità, forse una mia presenza di maggior profilo. Lo devo a voi. Grazie.

PRESIDENTE

         Prego, Presidente Colombo.

COLOMBO

         Vista l’atmosfera che si è creata questa mattina in questa sede ufficiale e ad un tempo amichevole, vorrei fare un piccolo regalo a Leone Piccioni. Sa, nei vecchi la memoria è la virtù che si preserva nel tempo e così, mentre parlavamo qui, mi sono ricordato (e lo voglio dare a Leone perché se lo ricordi, e alla città perché se lo ricordi) che nella settimana di aprile del 1948 il papà di Leone Piccioni, che voi non potete ricordare, ma che io ricordo con devozione ed affetto, ma anche con una grande ammirazione per la sua intelligenza, fece qui il discorso finale della campagna elettorale.

         In quel discorso annunciò che gli alleati avevano finalmente concesso a Trieste la qualità di territorio libero trasferendola, dunque, dall’occupazione territoriale alla qualità di territorio libero per poi arrivare alle altre trattative che avvennero dopo. Fu un momento di emozione fortissimo ed io lo voglio rivivere insieme con voi qui, sapendo che a Leone questo ricordo può fare un grande piacere.

PRESIDENTE

         Prima di dichiarare conclusi i lavori di questa mattina, devo porgere le congratulazioni al professor Piccioni da parte dal sottosegretario D’Andrea che ci ha raggiunti con un telegramma.

         Rinnovo gli auguri al professor Piccioni, il saluto alle Autorità presenti e dichiaro sciolta la seduta di questa mattina. Grazie.

         La seduta del Consiglio Comunale viene sciolta alle ore 12.05.