La mostra

Le opere in mostra, vanno dal 1948 al 2006 quasi tutte inedite tranne quelle che si riferiscono alla lettura per immagini dei sonetti del Petrarca. Esse attestano il realismo poetico che  caratterizza il lavoro artistico di Treccani, nonché l’interesse e l’amore per la Lucania. 

Sculture, dipinti, acquerelli, disegni, realizzati in massima parte nel territorio lucano il cui dichiarato desiderio era: “ coniugare la malinconica luce lombarda con la drammaticità della luce meridionale”.

“Dal 1970, – scrive Tricarico – anno in cui ha avuto inizio la nostra frequentazione e amicizia, Ernesto è stato costantemente presente nella nostra regione, almeno due volte l’anno, in primavera e in autunno. Si andava a dipingere a Bella nella casa di Tonino e Maria, a Molino di Piede a Pignola per le grandi tele[…]

Si discuteva della difficile condizione umana di oggi, senza passioni e ideologie; dell’amore per il nostro territorio e della fertile creatività che essa sollecita; della sostanziale differenza tra la luce lombarda “che è bella quando è bella” e la luminosità del paesaggio di Basilicata avvolta nella luce e negli spazi riconcilianti al di fuori del tempo e del rumore; luoghi in cui i sogni profondi degli uomini e in definitiva la loro realtà, sono ripuliti da tutte le infinite scorie della vita vissuta; della Lucania come modello di bellezza, della ossessiva necessità di ritrarla e della voglia di ritornare.”

“Il colore – rileva Massimo Bignardi – è certamente la chiave di lettura di questa mostra: lo è sia in quanto identità di uno spazio che l’artista impara a scoprire, dapprima, servendosi dell’esercizio del disegno, ossia regolando i contorni delle figure, delle case, dei volumi, per poi sottoporli alla verifica della luce che, se pur continua a non essere impressionista, acquista toni di un’astrazione lirica, sia perché sarà il punto di una nuova sperimentazione compositiva che impone una gestualità viva, immediata, pronta a cogliere il “colore della vita”, così come l’artista stesso afferma.

[…] Il giardino di Livia, pone due aspetti che ritengo importanti per  comprendere la svolta registrata dalla pittura di Ernesto nei primi del decennio Settanta: innanzi tutto il rinnovamento del ‘carattere cromatico’ con una scelta, sulla tavolozza espressionista, di colori che combinandosi tra loro sostengono il carattere tipico ed irripetibili dei suoi dipinti.

Al tempo stesso mette in gioco, forse complice la luce dei paesaggi lucani e di un ritrovato Mediterraneo, una nuova stesura del tono cromatico: agendo sui livelli di alta luminosità, quasi a sfiorare il colore saturo, immediatamente evocativa dello spazio e della materia, Treccani opera una sutura tra l’istante emotivo dell’impressione e la percezione ottica.

Opera una sorta di revisione dei termini ‘realtà’ ed ‘astrazione’, ponendoli su un piano di coniugazione che non è solo quello formale, quanto smuove i livelli strutturali, cioè l’impalcatura, direbbe Itten, “intellettuale-simbolica” propria delle sue esperienze precedenti…”.