La mostra Mi Manda Mameli raccoglie le vignette di una piccolissima parte dell’immenso archivio di Massimo Bucchi, vignettista de “La Repubblica”. Da trent’anni, Bucchi opera sui risvolti della politica italiana e sulle contraddizioni dell’Italiano con profondità di pensiero e con un linguaggio grafico di grande raffinatezza stilistica. L’autore si distingue da tutti: nessuno può prevedere quello che vedrà comparire all’interno delle sue rubriche, qui esposte, “La finestra sul cortile” e “Sottovuoto” pubblicata su “il Venerdì” del medesimo quotidiano.
Le sue vignette-collages assumono sempre i toni riflessivi e ammonitori di un autentico editoriale sui fatti della vita politica e sociale del nostro tempo. Accosta personaggi, eventi, immagini e parole che in apparenza sembrerebbero distanti tra loro, producendo un black-out lungo la linea ordinaria di trasmissione delle notizie. Bucchi ha una predilezione per le illustrazioni del passato, in particolare per quelle degli anni ’30, e per i quadri d’autore e a queste immagini si affida per dar forza ai suoi flash linguistico-visivi, con quel suo giocare continuo e inesausto con le parole, i luoghi comuni, le banalità del quotidiano. Mai, nei suoi lavori, si avvertirà un cedimento alla volgarità – quando tutto intorno a noi si concede ad essa – o alla battuta polemica. La sua satira non dice parolacce, non urla. Non è sberleffo irriverente delle istituzioni e della politica del nostro paese. È un riso amaro. E quando pure ci strappa una risata, si ride “senza gioia”. La sua è una forza che ci turba. Di certo, non ci permette di rimanere assenti o indifferenti.
Chi guarda/legge le vignette di Bucchi entra in un mondo che appartiene a tutti, nel senso che ciascuno di noi vi fa parte, spesso inconsapevolmente. C’è sempre un frammento della nostra esistenza o della nostra esperienza che vi si può riconoscere. Basta (r)accoglierlo: come padri, come figli, come mariti o amanti. Come uomini o donne dalle identità smarrite – se mai ne abbiamo avuta una – o violentate – innanzitutto da noi stessi, dal nostro silenzio. Il linguaggio di Bucchi fa continuo riferimento all’inconscio. Ed ecco, quindi, che ci pone contro noi stessi: “Se ha resistito a se stesso può resistere a tutto” dice. Oggi è quasi proibito pensare sul senso delle azioni e degli eventi, di riflettere in profondità sul senso di questa vita ma Bucchi con il suo lavoro ci costringe a farlo. Le sue vignette sono per questo spietate: non lasciano via di uscita. Sembra quasi che ci dica: questa è la tua (nostra) realtà, è inutile che scappi. Questione di un attimo, appunto: il tempo della scintilla e veniamo rapiti dallo sguardo surreale dell’autore.
Ogni vignetta è un tassello di un affresco della nostra epoca: e ognuno rimanda ad un altro. Non c’è un prima e un dopo, se non in senso cronologico. Le sue vignette, dopo il tempo dell’attualità, continuano a vivere di vita propria. Indicare un percorso, o, addirittura, una chiave di lettura sarebbe per questo un errore: ce ne sono tanti/e e ciascuno può e deve trovare il suo, purché non cerchi quello più consolatorio. Occorre essere pronti a mettersi in gioco, a nudo, e fare i conti fino in fondo con se stessi per entrare nel mondo di Massimo Bucchi, e uscirne con “un passaporto per il futuro”.
Graziella Salvatore