Cappella del Beato Bonaventura

La Cappella del Beato Bonaventura si trova nel vicolo dedicato al Beato omonimo, adiacente a Via Pretoria, nel pieno centro storico. Le notizie storiche pervenute sulla cappella risalgono al lontano 1651.
Fu qui che nacque Carlo Antonio Gerardo Lavanca, conosciuto come Frate Bonaventura e successivamente beatificato nel 1775 dal papa Pio VI. Successivamente alla sua morte, l’abitazione venne lungamente utilizzata a fini privati finché agli inizi del Novecento il Vescovo Tiberio Durante decise di trasformarla in un luogo di culto, rendendo la casa natale del Beato una cappella.

Elemento fondamentale e pregiato della cappella è il portale in pietra calcarea settecentesco, la cui origine è forse da ricercare nel Monastero di San Luca.
Il portale è mpreziosito da vari elementi decorativi, tra cui spiccano due teste alate di due cherubini che sormontano lo stipite dell’ingresso. Sopra di esse si trova uno stemma francescano, ordine di cui faceva parte il frate.
Internamente la cappella consta di un unico locale, ricco di oggetti di valore. Fra di essi si annoverano un olio su tela dell’ultima cena, realizzato dal pittore Mario Prayer, ed altri oli su tela che rappresentano l’Addolorata, San Giovanni e il Crocifisso, risalenti agli anni cinquanta.
Anche la volta è decorata con alcune opere del medesimo artista, che raffigurano i quattro evangelisti. Il ritratto conservato dietro l’altare, invece, rappresenta l’estasi del Beato.
In una nicchia sono conservate la reliquie del Beato: alcuni vestiti custoditi in un reliquario di legno dorato. L’unico altare della cappella è in pietra rossa di Avigliano.
Beato Bonaventura da Potenza, al secolo Carlo Antonio Gerardo Lavanga (Potenza, 1651; † Ravello, 26 ottobre 1711) è stato un presbitero e religioso italiano dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, proclamato beato da Papa Pio VI nel 1775.
Figlio di povera gente ma ornata di singolare onestà di costumi e d’insigne cristiana pietà, nacque a Potenza il 4 gennaio 1651, da Lello Lavagna e Caterina Pica. Battezzato nella Cattedrale San Gerardo di Potenza, ricevette la Cresima, l’11 marzo 1657, all’età di 6 anni, nella stessa Chiesa.
Visse la sua fanciullezza tra lo studio, gli amici e la lettura di libri religiosi. Frequentò molto la Chiesa di S. Francesco e dei Frati Minori Conventuali, ed è proprio in questa Chiesa che il giovane Carlo maturò la sua scelta vocazionale sulle orme del Serafico D’Assisi.
Nel 1666 durante un passaggio del Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali, P. Antonio da Pescopagano, il giovanissimo Carlo chiese di entrare a far parte della famiglia Francescana dei Conventuali.
La domanda venne accolta in maniera entusiasta dai Frati di S. Francesco di Potenza e nell’ottobre del 1666 Carlo entrò nel Convento di S. Antonio di Nocera Inferiore per intraprendere il cammino del Noviziato. Il 4 ottobre vestì l’abito religioso assumendo il nuovo nome di Fra Bonaventura.
Il suo primo biografo, Fra Giuseppe Maria Rugilo, osservò che il “suo Noviziato non fu che la continuazione del suo fervore, accresciuto di qualche grado” dal tumulto evitato del secolo, dalla quiete trovata nel chiostro, dalla frequenza degli esercizi spirituali e da tutta la santità della disciplina regolare, perché discepolo già esercitato nella Scuola della perfezione.
Il 5 ottobre del 1667 Fra Bonaventura emise la Professione semplice nelle mani del Guardiano del Convento nocerino di S. Antonio, P. Francesco da Cerchiaro.
Alcuni giorni dopo, Fra Bonaventura ricevette la sua nuova destinazione, al Convento di S. Antonio di Aversa, dove era il seminario dei giovani Professi, iniziando il corso di studi. Con Aversa iniziò l’itineranza di Fra Bonaventura fra i Conventi della Provincia.
Nel 1668 fu a Maddaloni, nel 1669 a Lopio, nel 1672 ad Amalfi, dal 1680 al 1687 a Napoli nel Convento di S. Antonio fuori Porta Medina, poi a Maranola, a Giugliano, a Montella, a Sorrento e a Capri.
In questi anni Fra Bonaventura ha lasciato, in tutti questi luoghi, i segni di una presenza di grande spessore spirituale e di edificazione del popolo e dei confratelli.
Ad Amalfi Fra Bonaventura completò la sua formazione con il P. Maestro Ven. Domenico Girardelle da Muro Lucano. Nel 1676 venne Ordinato Sacerdote.
Il peregrinare per i Conventi era dovuto alla sua diffusa fama di santità. Ogni Guardiano lo richiedeva, tanto da essere definito dal suo maestro di Amalfi : “Il religioso conteso”. Durante il soggiorno a Napoli, accorrevano a lui per la guida spirituale popolo e nobili. A Capri fu mandato nel 1687, per tre soli mesi, per riaprire con altri due frati un’antica casa dei Conventuali. Ritornato a Napoli nel 1688, fu trasferito ad Ischia, dove la sua opera lasciò una forte traccia tra l’apostolato ai pescatori e ai contadini, la cura spirituale delle Clarisse e la visita al carcere.
Estirpare dall’isola i peccatori e far cessare le miserie dei poveri furono gli obiettivi che perseguì con sacrifici Padre Bonaventura nei dieci anni ad Ischia. Qui conobbe Don Sabbato Schiano, Sacerdote della Diocesi di Ischia, studioso della perfezione, che fu suo amico indivisibile.
Nel 1698 al 1703 fu di nuovo a Napoli, nei Conventi di S. Maria Apparente e di S. Antonio fuori Porta Medina. Nel 1703 il Beato Bonaventura fu nominato dal Ministro Provinciale, P. Bonaventura Zola, Maestro dei Novizi, e ritornò con l’incarico più importante della sua vita al Convento di S. Antonio di Nocera Inferiore.
Dal 1703 al 1707 Padre Bonaventura formò una vera e propria scuola di santità dando vita ad una intensa stagione spirituale, dentro il convento e fuori, verso il popolo.
Numerosi si convertirono ad una vita più santa dopo l’incontro con il Beato.
Per incarico del Vescovo di Nocera, Giovanni Battista Carafa, fu anche direttore spirituale delle Clarisse. “I poveri – diceva – vogliono soccorso, gli afflitti consolazione, gli animi e i corpi infermi spirituale e temporale medicina”.
Insigni discepoli si formarono con il Beato Bonaventura, tra i quali Fra Francesco Maria Tolbe di Abriola, Fra Bonaventura Casella da Napoli, il nocerino Fra Tommaso Albanese, Fra Paolo Misatro, Fra Giuseppe da Saponara, Fra Giuseppe Piecinisco, Fra Eugenio da Pescopagano, Fra Bonaventura Garofano.
Sono rimaste preziose testimonianze su Padre Bonaventura da Potenza, della sua santità di vita e capacità di testimonianza, della sua diligenza, prudenza, umiltà e dolcezza, ma anche della sua precisione.
Sapeva, infatti, essere soavemente rigido nella sua guida. Non usava mai violenza, la sua forza era la convinzione di agire nella prospettiva dell’eternità.
Nelle biografie del Beato si racconta del cambiamento radicale di un giovane frate, Arcangelo Rossi che, per il suo fare polemico, scontroso, baldanzoso, indolente e presuntuoso, girava da una comunità all’altra rendendosi a tutti insopportabile.
Nipote di Padre Pasquale Rossi, Guardiano del Convento nocerino, fu mandato a Nocera, alle cure di P. Bonaventura.
Dopo il tempo vissuto con P. Bonaventura, Fra Arcangelo divenne addirittura un esempio per molti, di osservanza, di moderazione e di umiltà, come hanno testimoniato molti Frati incontrandolo negli anni successivi.
Nel 1707 Padre Bonaventura fu trasferito nuovamente al Convento di S. Antonio fuori Porta Medina di Napoli, dove continuava ad istruire, predicare, confessare e servire il popolo nella Napoli dei vicoli e dei potenti.
La missione del Beato era di farsi santo e fare santi.
Nel 1710 fu mandato a Ravello con altri frati, per la riapertura del Convento di S. Francesco soppresso nel 1653.
Nel cuore dell’inverno ogni cosa nel Convento si presentava nella fatiscenza dell’abbandono: mura cadenti, poche suppellettili per l’altare ed altre carenze che non rendeva per nulla facile la vita. Scoraggiati da ciò, Padre Domenico Vessicchio, Guardiano del Convento ravellese e gli altri frati abbandonarono il luogo. Vi rimase solo Padre Bonaventura. 

I motivi erano sempre gli stessi che avevano contrassegnato la sua vita: obbedienza al mandato del Superiore, carità verso le anime bisognose, amore per la povertà.
Gli fu affidato dal Vescovo di Ravello la cura spirituale dei due Monasteri delle Sacre Vergini nobili presenti nella Diocesi, e poi fu nominato suo confessore.
Anche Mons. Catiello, Vescovo di Minori, gli affidò le cure dei Monasteri della sua Diocesi, e lo nominò suo consigliere spirituale.
Percorreva a piedi la strada da Ravello ad Amalfi , visitando i poveri.
Finché visse da solo celebrava l’Eucaristia alla presenza del popolo, che numeroso accorreva da tutta la Costiera Amalfitana,.
Morì nel Convento di Ravello il 26 ottobre del 1711, per i postumi di un’operazione con cui gli fu asportata una cancrena alla gamba e fu sepolto sotto l’Altare maggiore della Chiesa San Francesco di Ravello.
Venne proclamato beato il 26 novembre 1775, da Papa Pio VI, nella Basilica di San Pietro in Roma.
Illustre figlio di S. Francesco, il Beato Bonaventura da Potenza ne imitò fino all’eroismo la povertà, la purezza, la carità, lo spirito di mortificazione.
Si distinse particolarmente nell’obbedienza, tanto da essere definito “il Santo dell’obbedienza”. La sua vita fu arricchita di doni preziosi.
Per il Beato Bonaventura conserva una grande devozione sia il popolo nocerino, sia la vicina Pagani; ogni anno numerosi pellegrini si recano alla sua tomba per attingere alla sua spiritualità.
Lo si può definire sicuramente un illustre figlio della città di Nocera nella quale, il Beato Bonaventura da Potenza, ha trascorso sicuramente gli anni più importanti e più intensi del suo cammino di vita: il Noviziato e l’incarico di Maestro dei Novizi.
Nella peregrinatio dell’urna contenente le spoglie del Beato a Pagani, paese molto devoto al Beato Bonaventura, dal 12 al 15 Settembre del 1962, e di seguito a Nocera Inferiore, dal 15 al 19 settembre 1962, un bagno di folla partecipò alle solenni processioni, all’arrivo e alla partenza, alle Liturgie e ai pellegrinaggi dei fedeli.
A Nocera Inferiore, nella Chiesa di S. Antonio, in quella occasione fu donato dal Sindaco della città, Ferdinando Rossi, un artistico calice, perché fosse usato nelle celebrazioni delle S.S. Messe sulla tomba del Beato Bonaventura, a testimonianza dell’attaccamento dei nocerini verso il Beato.
Il 26 Ottobre la Comunità Ecclesiale di Ravello si è riunita attorno alla mensa eucaristica per celebrare il Beato Bonaventura da Potenza, esempio di perfezione evangelica, di ascesi, di santità, testimone della Fede che si è speso totalmente per annunciare la lieta novella ai poveri e per servire Cristo nei fratelli bisognosi.
Momenti intensi hanno portato a ripercorrere la vita di Padre Bonaventura da Potenza, beatificato nel 1775.
A Ravello si racconta che si era nel cuore del rigido inverno quando, nel 1710, Padre Bonaventura, in qualità di Superiore, insieme ad altri confratelli raggiunse, percorrendo vie accidentate, una Ravello solitaria, che nelle visite ad limina appariva “una città con edifici caduti o cadenti e in gran parte rasa al suolo”.
Il Vescovo Giuseppe Maria Perrimezzi (1707-1714), dei Minimi di San Francesco di Paola, celebre predicatore e scrittore, aveva infatti richiesto espressamente al Commissario della Religiosa Provincia di Napoli la riapertura del Convento francescano di Ravello, già soppresso nel 1652.
Nella città costiera il frate potentino avrebbe terminato una lunga itineranza, spesa totalmente nel soccorso ai poveri e agli ammalati senza, tuttavia, far mancare una parola di conforto ai nobili che, con frequenza, si rivolgevano a lui.
Amalfi, Napoli, Sorrento, Capri e Ischia, sono solo alcune tappe di un itinerario spirituale, prima che fisico, volto all’imitazione di Cristo sull’esempio del Serafico Padre San Francesco e costellato di eventi prodigiosi, prima di essere nominato Maestro dei Novizi nel Convento di Nocera Inferiore.
A Ravello il pensiero del Beato andava spesso alle parole del suo maestro spirituale, il Venerabile Domenico Girardelli da Muro Lucano, altro figlio esemplare della provincia francescana conventuale di Napoli, morto ad Amalfi nel 1683 e sepolto nella Chiesa del Convento di San Francesco.
Egli, tre anni prima della dipartita, nel momento del commiato aveva profetizzato a Padre Bonaventura la riapertura della casa conventuale della Città di Ravello “col favore di un vescovo amantissimo” dove avrebbe trascorso gli ultimi anni prima del suo ritorno alla casa del Padre, “così i corpi sarebbero stati vicini dopo la morte, come gli animi erano stati in vita congiunti”.
Nonostante il Convento di Ravello fosse desolato e privo di tutto – persino le suppellettili ecclesiastiche erano difatti indecorose -, il Padre Superiore riteneva che non mancasse “ciò ch’era necessario e che in convento aveva assai più di quello che si sarebbe meritato”.
Il Vescovo lo nominò suo confessore e gli affidò la direzione spirituale dei due monasteri delle “Sacre Vergini nobili, principale coronamento dell’angusta sua Diocesi”. 

Gli altri confratelli abbandonarono la casa conventuale lasciando, per i primi mesi, il Beato in solitudine, fedele all’obbedienza verso il Padre Provinciale, alla carità verso le anime bisognose e all’amore per la povertà.
L’instancabile impegno veniva profuso non solo a Ravello ma anche nelle vicine città di Scala, Amalfi, Atrani, città dove il frate si recava per lenire le sofferenze dei corpi e i tormenti dell’anima.
Il Beato era solito trattenersi per lunghe ore dinanzi al SS. Sacramento, tra gemiti e lacrime, sia di giorno che di notte, avendo grande cura della lampada ardente che, con la sua fiamma, segnalava la presenza reale del Signore del Mistero Eucaristico.
Questa profonda immersione nel Mistero Eucaristico gli era facilitata a Ravello, dove la sua stanzetta versava, con la finestra, proprio sull’altare maggiore.
Sempre ilare e giocondo, malgrado le pessime condizioni di salute, egli celebrava l’Eucaristia con grande emozione e partecipazione. In prossimità della Consacrazione il volto si trasformava, mentre lacrime e sudore bagnavano il frate in estasi.
I sui giorni trascorrevano all’insegna della preghiera, della confessione e della predicazione, “si macerava colle discipline, coi cilizi, e con altre penitenze” e, pur di sovvenire alle necessità degli ultimi, si privava anche del pane quotidiano, unico mezzo di sostentamento.
L’incontro con “sorella morte” si avvicinava: “Io già vedo che le mie infermità si vanno troppo avanzando; è necessario che io muti stanza tra poco”, diceva sei mesi prima della dipartita.
Nell’ottobre 1711, assalito dalla febbre, trascorse gli ultimi giorni nella sua cella in compagnia del Cristo Crocifisso che pendeva dalla parete. “Ave Maria” furono le ultime parole, i suoi occhi si chiudevano privando il popolo ravellese, che lo pianse con devozione filiale, di un tesoro inestimabile.
Verso la sera del terzo giorno dopo la morte, il corpo del Beato fu trasportato dall’Oratorio in Chiesa per essere sotterrato alla presenza del Vescovo e di altri qualificati testimoni.
Durante il trasporto, alla vista del Tabernacolo, la salma aprì gli occhi, rimasti sempre chiusi dal momento in cui egli era spirato, e quasi chinò la testa di fronte al SS. Sacramento.
Il fenomeno, alla luce delle candele, fu osservato da tutti gli astanti e fu interpretato come un segno con il quale il Signore aveva voluto premiare la grande devozione eucaristica del suo Servo. 

Ancora oggi, in special modo per la città di Ravello che ha il privilegio di custodirne il corpo, il Beato Bonaventura si pone come modello offrendo tre proposte: la santa messa quotidiana come partecipazione al Mistero di Cristo; la “Visita” al SS. Sacramento come ricerca dell’intimità con Cristo; l’adorazione estatica come contemplazione del Mistero di Cristo.
Questa è la consegna del Beato, questo il suo prezioso messaggio per i sacerdoti, i laici e per l’intera chiesa.
Con il conforto e la testimonianza del Beato Bonaventura si cerca di vivere in comunità per essere autentici missionari, autentici evangelizzatori, autentici profeti della fede cristiana, dell’amore, della giustizia, della speranza, di quella speranza di cui ha bisogno soprattutto il mondo di oggi.

The Chapel of Beato Bonaventura is located in the alley dedicated to the omonym blessed, adjacent to Via Pretoria, in the heart of the historic centre. It’s supposed to be dated back to 1651. Here Carlo Antonio Gerardo Lavanca was born, known as Frate Bonaventura, later beatified, in the 1775, by the pope Pio VI.

After his death, the house was used for a long time as private abitation until, at the beginning of the 20th century, the bishop Tiberio Durante decided to turn it into a cult place, making it a chapel. An essential element is the eighteenth century portal in limestone stone, whose origin is meant to be searched in the Saint Luke Abbey.

In the inside, there are many valuable items, among them an oil painting representing the Last Supper, realized by the painter Mario Prayer, and other oil paintings in which figure Our Lady Of Sorrows, Saint John and the Crucifix, dated back to the 1950’s.


Testo a cura dei volontari  del progetto di Servizio Civile “………… c’è TURISMO e CULTURA a POTENZA”

Fonte: www.talentilucani.it